APPENNINO DI
SANGUE di F.Guccini e L. Macchiavelli
“Ogni volta che faccio questa linea…non so come dire, ma c’è
qualcosa che mi prende, mi piace. L’ho vista cento volte, questo panorama, e ogni
volta è nuovo. Il fiume che appare e scompare, i boschi e i monti che calano
verso la pianura, le case lontane che si vedono e un attimo dopo non si vedono
più…Mi sono sempre chiesto che gente c’è là fuori; chi vivrà lassù per
esempio…”.
Chi parla è Bendetto Santovito, un maresciallo dei
carabinieri catapultato, per ragioni disciplinari (è antifascista) tra i boschi
dell’Appennino emiliano negli anni Trenta. All’inizio è dura quella vita, poi
col tempo apprezza quelle montagne, quei sentieri impervi, quei borghi
insignificanti e quella gente rude ma dal cuore grande. E fra una partita a
carte e un bicchiere di vino all’osteria, accompagna la storia del Paese nel
mutarsi dei costumi e delle abitudini, e indaga su misteriosi delitti, le cui
ragioni si confondono in un tempo
lontano.
Questo libro scritto a quattro mani da Macchiavelli e Guccini
(quello della Locomotiva, di Praga, di Chirano…) raccoglie tre romanzi,
“Macaronì”, “Un disco dei Platters” e “Questo sangue che impasta la terra”. In
un arco di tempo che spazia dagli anni ’40 agli anni ’70, il protagonista
racconta con sapienza e delicatezza un territorio sempre più amato, dove il
passato e il presente si rincorrono senza fine nelle trame di delitti fra le
piccole e grandi storie di gente semplice, diffidente con gli estranei, ma
sempre genuina. E in fondo la vera sfida del maresciallo Santovito, non è
quella di risolvere con acume gli intrighi polizieschi, ma di farsi accettare
come uno di loro e di scoprire, ogni volta che scende in città, a Bologna, col
treno, un panorama nuovo e diverso. Una sfida che vince sopravvivendo ai tanti
amici che se ne vanno, anche grazie a lei, Raffaella, che una mattina per caso,
proprio su quel treno aveva incontrato e conosciuto grazie ad un libro di
Hemingwey. Un’altra bella storia un po’ diversa ma non così lontana da quella
canzone, che in altra veste Guccini aveva cantato tanti anni fa. Anche là
c’erano ricordi e un treno che partiva e luci che svanivano. Chissà se il
maresciallo Santovito l’aveva mai ascoltata?
pennino
di falco
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