martedì 10 luglio 2012


COMUNICATO 
ASSOCIAZIONE PROGETTO DOMANI



“Venerdì 6 Luglio 2012 l’Associazione Progetto Domani ha tenuto la propria cena annuale; insieme ai soci, i simpatizzanti e ospiti si è deciso di dedicare la serata alle popolazioni colpite dal sisma, attraverso una raccolta fondi che ha ancora una volta dimostrato la grande generosità e solidarietà dei nostri territori.


I contributi raccolti durante la cena sono stati consegnati al Vicesindaco di Galliera Giuseppe Bassi in rappresentanza dell'amministrazione comunale, che ha garantito un impegno concreto rispetto a questo sentito gesto, ed un dialogo aperto su questo ed altri temi.


Dopo aver preso atto della difficile situazione di Galliera, uno dei Comuni più colpiti del territorio bolognese, Gianluca Benamati ha fatto il punto sugli sviluppi nazionali rispetto al tema della ricostruzione, garantendo un impegno costante ed un’attenzione forte nella fase più delicata, nella quale c’è bisogno di uno sforzo di tutto il Paese per questi territori che tanto e sempre hanno dimostrato grande generosità e spirito di solidarietà nazionale.


L’Associazione continuerà a dare il suo contributo, certi che non saremo soli a ricostruire questa terra che tanto amiamo.”


da “Tecnica della Scuola”
Istat: per l’istruzione gli italiani spendono davvero poco 
di Alessandro Giuliani 
Ogni famiglia investe in formazione solo 28 euro al mese: rispetto a due anni prima l'incremento è di 4 euro, però solo per i tabacchi escono meno soldi. Colpa anche del diverso sostegno delle istituzioni: col risultato che in Basilicata si spende più di tre volte che in Campania. 
Che gli italiani spendessero poco per l’istruzione dei loro figli non è una novità. Fa un certo effetto però sapere che qualsiasi altra attività o interesse comporta maggiori oneri. Solo per i tabacchi si spende meno. Magra consolazione, visto che a fumare (fortunatamente) sono in media la metà dei cittadini. Mentre la formazione dovrebbe rappresentare un obiettivo comune a tutti e a tutte le età (da qualche tempo del resto si parla tanto di istruzione permanente). 
La teoria però è un conto. La pratica è un altro. Così all’Istat risulta, attraverso un recente report sui consumi delle famiglie, che la famiglia media italiana (quella composta di genitori ed un figlio) spende nel 2011 ha speso appena 28 euro al mese (peraltro anche in ascesa visto che due anni prima era solo di 24 euro). L’unica voce per la quale si spende meno, come abbiamo detto, è quella dei tabacchi: ferma dal 2009 a 21 euro ogni 30 giorni. 
Per tutto il resto, l’impegno economico delle famiglie è maggiore. Anche di molto: per comunicare (via telefono, cellulare, internet, ecc.) vanno via ad esempio 47 euro al mese; per il tempo libero e la cultura poco più di 100; per l’abbigliamento e le calzature 134 euro; per i trasporti addirittura 354 (due anni prima 336). Fino al top dell’abitazione, per la quale tra affitto o mutuo più le spese condominiali, le utenze e l’eventuale manutenzione vanno via ben 711 euro al mese. 
Ecco che allora quei 28 euro per l’istruzione (pari all’1,1% di spesa rispetto a quella totale) “stonano” ancora di più. Se poi consideriamo che in alcune regioni l’impegno a nucleo familiare è ancora più ridotto, addirittura di tre volte, c’è allora davvero da preoccuparsi. Come parziale motivazione alla base di certi squilibri, ci sono però anche responsabilità da parte delle istituzioni. A tal proposito, sempre l’Istat ci dice, infatti, che rispetto al totale della spesa media mensile “la diversa propensione alla spesa per istruzione e per sanità è legata non solo alla maggiore presenza, nel primo caso, di bambini e ragazzi in età scolare e, nel secondo, di anziani, ma anche alla diversa compartecipazione delle istituzioni locali alla spesa sostenuta dalle famiglie. Per quanto riguarda l’istruzione, la quota di spesa varia da un massimo del 2,0% in Basilicata ad un minimo dello 0,6% in Campania”. Modesto è anche l’investimento delle famiglie umbre e siciliane (0,8%), ma anche quelle della Liguria, del Lazio e della Calabria (0,9%). 
Scorrendo le tabelle dell’Istat ci sono anche altri dati, probabilmente secondari ma sicuramente altrettanto interessanti. Come quello che riguarda l’innalzamento sensibile della spesa per l’istruzione all’aumentare della mole del nucleo familiare: tra le famiglie di cinque o più componenti, l’incidenza delle spese affrontate per istruzione cambia molto: si va dal 2,2% contro 0,4% di spesa affrontate delle famiglie mononucleari. 
Naturalmente, anche lo stato professionale della famiglia ha la sua incidenza sulla formazione dei suoi componenti: si va dal 4,1% di spesa affrontata da quelle con i capi-famiglia che per vari motivi si sono “ritirati dal lavoro”, al 5,3% degli operai, sino al 6,4% degli imprenditori e dei liberi professionisti e al 6,5% dei dirigenti e degli impiegati. Differenze, tra l’altro, nemmeno troppo importanti.

La-Grande-illusione - Di Paul Krugman

venerdì 6 luglio 2012

lunedì 2 luglio 2012

Il D’Alema pensiero
Dell’intervista a Massimo D’Alema uscita sul Corsera di ieri si possono evidenziare alcune questioni:
1. Sembrerebbe che al Consiglio dei Leader dei 27 paesi dell’Unione Europea ci si sia limitati a copiare quello che i “socialisti europei” avevano già approvato (per chi vuole leggere il documento http://europeansocialistalternative.blogspot.com/).
2. Il merito così non sarebbe dei leader dei più importanti paesi europei (Mario Monti tra tutti), ma di questa “svolta”nella politica europea.
3. Secondo D’Alema saremmo dinanzi ad una nuova avanzata del Centro Sinistra in Europa. La tesi è nota e abbondantemente “abusata” nel passato, soprattutto quando si perdevano le elezioni politiche: è quella che presuppone fasi cicliche nella guida dei paesi europei, insieme a sempre possibili alleanze delle sinistre.
4. Monti viene arruolato a pieno titolo nel centrosinistra europeo; anzi “la sua azione può mitigare positivamente le resistenze stataliste che ci sono ancora tra i socialisti”.
5. Il Governo Monti poi è diventato un Governo prevalentemente del PD: “Il governo lo stiamo sostenendo noi, basta dare un'occhiata in aula, e non deambulare in Transatlantico, per accorgersene”.
6. A Bruxelles si sarebbe realizzato: “quel centrosinistra europeo di cui il Consiglio di Bruxelles è stato l'atto costitutivo”.
7. Infine Massimo D’Alema “sposa”le stesse tesi che altri nel PD hanno sostenuto (per le quali però hanno subito pesanti aggressioni): «Sono assolutamente favorevole a riconoscere i diritti delle persone che convivono fuori dal matrimonio. “.


L'INTERVISTA A MASSIMO D'ALEMA
D'Alema: «C'è un nuovo centrosinistra europeo, Monti in sintonia con questa svolta»
Il numero uno del Copasir: «È un liberale che può mitigare le resistenze stataliste, non metterei in campo uomini nuovi»
Massimo D'Alema
«Se permette inizio con un suggerimento. Legga il documento approvato dai socialisti europei prima del Consiglio di Bruxelles. Troverà anticipati tutti i punti qualificanti dell'accordo successivamente raggiunto tra i governi. Tutti. Il meccanismo anti spread, la clausola salva-banche e tante altre cose. È questa la grande novità. Le interpretazioni meramente geopolitiche che parlano del nuovo Club Med, dell'isolamento della Germania, della fine di questo o quell'asse non spiegano tutto». Dire che Massimo D'Alema è soddisfatto dell'esito del negoziato di Bruxelles è un eufemismo, per lui si tratta di una svolta, con la maiuscola. «Le destre, nella loro doppia versione liberista e populista, hanno indebolito l'Europa. E oggi la svolta avviene nel segno di un nuovo centrosinistra europeo che potrà rafforzarsi con le elezioni del 2013 in Italia e in Germania. Non credo che i mercati debbano avere paura dei socialisti che tornano al governo».
I commenti della stampa italiana hanno sottolineato di più i meriti di SuperMario Monti...
«Sono innegabili. L'Italia dopo gli anni di Berlusconi è tornata in campo e lo ha fatto grazie al nuovo governo. Ma senza la vittoria di Hollande alle elezioni francesi non sarebbe stato possibile ottenere nessun risultato. La novità è politica, dunque. So che i giornali italiani fanno fatica a parlare della vera politica ma è così. Ora naturalmente ci sono da implementare le decisioni prese ma ci si può legittimamente attendere che dopo Bruxelles cambi anche il clima psicologico, che gli europei e non solo le istituzioni coltivino nuove aspettative».


Come si fa ad aprire un nuovo ciclo europeista con la Germania contro?
«Concordo con Prodi, la Germania con la sua straordinaria forza produttiva è fondamentale per la crescita europea. Bisogna, dunque, registrare la fatica che i tedeschi fanno a entrare in una logica di solidarietà. Conto sulle forze che, all'interno di quel grande Paese, si muovono con questo spirito. Non ci sono solo Spd e Verdi che insistono su una linea europeista, anche nel partito della Merkel la riflessione è tutt'altro che chiusa. Penso alla dialettica aperta dalle sortite di Schauble, alle critiche avanzate da Kohl e non dimentico che nelle ultime elezioni locali la Merkel ha sempre perso. L'opinione pubblica tedesca è quantomeno divisa e gli industriali sanno che il loro interesse di business non può prescindere dall'esistenza dell'eurozona».


Se sta nascendo un centrosinistra europeo che ruolo potrà giocarvi Mario Monti?
«In un nuovo centrosinistra europeo Monti può trovarsi a perfetto agio. È una personalità liberale che con la sua azione può mitigare positivamente le resistenze stataliste che ci sono ancora tra i socialisti. La sua insistenza sul completamento del mercato unico è giusta. Ha posizioni che a me paiono compatibili con il nostro orizzonte programmatico».


Domani si attende la reazione dei mercati per brindare o meno al successo del Consiglio di Bruxelles. Più in generale si può dire che qualsiasi nuovo equilibrio politico nel Vecchio Continente deve fare i conti con il consenso dei mercati. Gli analisti però considerano il Pse come il partito degli investimenti finanziati con il deficit spending.
«Mercati è una parola che mette assieme più interessi, magari contraddittori. Se parliamo delle società finanziarie con interessi speculativi penso proprio che non siano interessate a una svolta politica europea. Investitori e imprese sanno, invece, che c'è bisogno di creare nuove opportunità di sviluppo. Non sto parlando di incrementare la spesa corrente e del resto le nostre credenziali sono quelle di Tommaso Padoa Schioppa che sostenne la spending review e ridusse il rapporto debito/pil al 103%. La borghesia italiana preferì però Berlusconi e la spesa con lui è risalita».


Il Pd dunque sosterrà «senza se e senza ma» il governo Monti fino alle elezioni?
«Sì. Non siamo interessati a rovesciare il governo. I nostri interlocutori in Europa ci considererebbero dei matti proprio perché hanno visto Monti all'opera. Se c'è qualcuno che in Italia vuole andare all'opposizione è Berlusconi e già lo sta facendo. Il suo gruppo parlamentare per un terzo vota sì, un altro terzo vota no e il resto si astiene. Il governo lo stiamo sostenendo noi, basta dare un'occhiata in aula, e non deambulare in Transatlantico, per accorgersene».


Pensa che Berlusconi si farà da parte?
«L'azionista di riferimento è lui, Alfano è tuttalpiù un amministratore delegato che cerca con fatica di marcare il suo ruolo. Se il Pdl non si libera della matrice padronale l'evoluzione della destra sarà difficile. Per questo sostengo che l'unica prospettiva per il Paese viene da quel centrosinistra europeo di cui il Consiglio di Bruxelles è stato l'atto costitutivo. Vedremo se lo capirà anche l'establishment italiano».


Lei è sempre molto polemico nei confronti della borghesia. Le serve come richiamo ideologico o pensa davvero che il suo orientamento sia ancora centrale nella transizione italiana?
«Dico solo che una parte del ceto economico e del ceto intellettuale non accetta la democrazia dei partiti. Nel loro dna c'è l'elitismo e il qualunquismo antiparlamentare di Gaetano Mosca. Pur di bloccare la sinistra abbracciarono Berlusconi e ora flirtano con Grillo».


Lei ha da tempo puntato a includere nel centrosinistra Casini e l'ultima evoluzione sembra darle ragione. Ingaggiandolo però sta perdendo Vendola.
«Vendola ha ragione quando chiede di discutere i contenuti, ha torto quando regala le chiavi del suo partito a Di Pietro. Glielo chiedo con amicizia, quali valori di sinistra vedi in lui? E poi non siamo noi che vogliamo escluderlo. È Di Pietro con i suoi attacchi continui contro il partito, le istituzioni, il Quirinale, che si mette in una posizione difficilmente compatibile con una seria prospettiva di governo».
Vendola in verità teme che una maggioranza con Casini veda prevalere, in materia di diritti civili, l'orientamento dei cattolici.
«Sono assolutamente favorevole a riconoscere i diritti delle persone che convivono fuori dal matrimonio. Credo anche che una gran parte del mondo cattolico consideri ciò ragionevole. Bisogna discutere apertamente e ricercare soluzioni ampiamente condivise, al di là delle maggioranze di governo».
Lei è anche favorevole alla formazione di una lista della società civile apparentata al Pd?
«La lista del Pd sarà già rappresentativa della società civile, aperta a personalità che rappresentino movimenti e apportino competenze utili alla vita pubblica. E comunque non è compito dei partiti promuovere liste civiche, sarebbe una contraddizione in termini. Se però dovesse nascere una lista di quel tipo ne esamineremo, senza preclusioni, il profilo politico, il programma, l'idea del Paese che sosterrà».


Grillo nei sondaggi cresce e secondo Weber (Swg) intercetta il vostro elettorato. Addirittura, secondo lui, i grillini assomigliano ai figiciotti degli anni 80.
«Il movimento di Grillo è un partito politico, va giudicato in base alle sue proposte e agli effetti che una sua affermazione elettorale produrrebbe negli equilibri del Paese. Un movimento che parla dell'uscita dall'euro e di non restituire il debito pubblico, non incoraggia certo gli investitori a comprare Bot e Cct. Detto questo bisogna far politica, prendere atto che Grillo specie nei confronti dell'elettorato giovanile è fortemente competitivo e si presenta con l'immagine della freschezza e della novità. Il Pd deve raccogliere la sfida puntando sulla democrazia, la partecipazione, la sobrietà».
Un' ultima domanda legata alla congiuntura politica immediata. La prossima settimana arriveranno i provvedimenti legati alla spending review. Bersani ha messo le mani avanti e ha detto «speriamo che non sia una manovra aggiuntiva» e intanto c'è chi consiglia al governo un rimpasto dei ministri. Qual è invece il suo suggerimento?
«Giudicheremo le misure quando saranno presentate. Spero proprio che non siano la riproposizione dei tagli lineari con l'etichetta cambiata. In generale credo che se il governo si aprisse a qualche contributo del Parlamento non farebbe male. Quanto a cambi nella squadra non manderei in campo uomini nuovi nei tempi supplementari, conviene lasciar lavorare gli attuali ministri. Si stanno appena impratichendo...».


Dario Di Vico
Da “Il Corriere della Sera” del 1 luglio 2012




Bruxelles

domenica 1 luglio 2012


SUL DISEGNO DI LEGGE PER IL REFERENDUM COSTITUZIONALE DI CECCANTI E CHITI 
Un commento di Enzo Balboni
Pubblicato il 01/07/2012 su http://comitdossetti.wordpress.com

Io lo so che ormai tutto è tattica e che non ci si dovrebbe scandalizzare per le quotidiane bassezze ed i baratti parlamentari, ma per gli dei, lasciate la Costituzione fuori dai vostri giochini!
Grande è il discredito che scende sulla classe politica e sul ceto degli esperti quando vengono messi in circolazione testi e proposte di legge nei quali l’avventurismo e la pericolosità fanno a gara con la piattezza e la sciatteria. Mi riferisco al ddl costituzionale per il quale è in corso la raccolta delle firme di adesione (si può leggerne il testo sul sito di Astrid) che ha come primi firmatari non due peones ma il costituzionalista Ceccanti e il vice-presidente del Senato Chiti.
Il ddl cost.citato si espone ad una serie numerosa di dure critiche (spero argomentate) sia sul piano del metodo che su quello del merito. Va ribadito, ancora una volta, che non è lecito utilizzare lo strumento del tutto improprio del referendum di indirizzo, sconosciuto alla nostra Costituzione ed usato malamente, e una sola volta nel 1989, per scopi generici e  patetici (“dare più poteri al Parlamento europeo”) quando la Costituzione si può revisionare solo con il lungo e aggravato procedimento dell’art. 138. E da questo non si può scappare…fatti salvi i tentativi di colpetti di Stato. Troppo facile confezionare per gli elettori un quesito-bersaglio del tipo di quello adesso immaginato (“Ritenete che si debba modificare la forma di governo parlamentare della nostra Costituzione”), il cui lessico volutamente disadorno gli attirerebbe subito addosso le nefandezze della prima e della seconda Repubblica, riunite in un generico vituperio, per presentare poi, subito dopo, le proposte alternative, luminose e progressive, ciascuna coi suoi pregi, della forma di governo del primo ministro e della forma di governo semi-presidenziale. (Fra l’altro, perché non passare allora direttamente a quella presidenziale che avrebbe almeno più pregi che difetti: il sistema costituzionale americano con tutti i suoi controlli e bilanciamenti reciproci tra Presidente, Congresso e Corte Suprema insegni!)
Nel disegno di legge che si sta preparando appare del tutto arbitrario il riassunto delle due forme di governo alternative che i presentatori hanno fatto per rendere il quesito iscrivibile in una scheda elettorale. Ma, ovviamente, se il referendum andasse a buon fine (per loro) quegli elementi precisamente indicati diventerebbero cogenti per quanto dovrebbe essere approvato poi. E già così metà del testo costituzionale sarebbe scritto. Mi è già accaduto di affermare che in questa materia i dettagli non solo sono importanti, ma sono decisivi: perché è lì che si nasconde il diavolo.
Per restare alla forma di governo semipresidenziale, prima di approvarla con un sì, vorrei sapere, ad esempio, se quel Presidente della Repubblica al quale do già tantissimi poteri sarebbe ancora il Presidente del C.S.M., conserverebbe il potere di grazia, manterrebbe il potere di nomina di cinque giudici costituzionali e così proseguendo.  Ugualmente, nel caso di forma di governo del primo ministro, va bene che si prenda a piene mani dal testo costituzionale tedesco, ma ci sono tante articolazioni ulteriori che debbono essere precisate e delimitate prima che io elettore mi senta tranquillo nell’affidare al primo ministro la somma di poteri che ha in questo momento la cancelliera Angela Merkl. Lei, infatti, è tallonata da un sistema politico serio, da un’organizzazione costituzionale federale di tutto rispetto, da un Bundestag coi fiocchi e da un Tribunale Costituzionale con i controfiocchi.
Il fatto è che in un sistema costituzionale tutto si tiene e non ci si può presentare davanti ad un elettore – al quale ovviamente sfuggono i raccordi, i controlli, le tecnicalità – con un piatto composto da polenta, fragole e bulloni, lasciandogli solo intravedere che l’alternativa del governo parlamentare si presenta come una ciotola di ceci e frammenti di vetro difficili da ingurgitare con gioia.
Produce vero dolore che una tradizione culturale, giuridica e politica che, come quella del PD è stata sempre alta, potendo vantare ascendenti di notevole grandezza, quali Mortati, Dossetti, Moro, Fanfani, Togliatti, La Pira, Basso, Terracini, Tosato, giù giù fino ad Elia, venga mortificata da una proposta che rasenta la volgarità quale rifulge nell’art. 6 del ddl. citato, coerentemente rubricato “seguito parlamentare”.
Qui, davvero, quel detto impietoso che comincia con “quos Deus vult perdere…”risulterebbe l’unico appropriato. Si è scritto infatti, che una volta che i sì abbiano premiato a maggioranza semplice (si badi!), gli aneliti riformatori, toccherebbe ai Presidenti delle Camere dismettere i panni, che sono loro propri, di imparziali conduttori ed arbitri dei dibattiti e lavori parlamentari per assumere quelli di reggitori per dodici mesi dell’intero processo costituzionale e politico del Paese! Essi infatti “d’intesa tra loro predispongono tempi e strumenti (?! è contemplato l’esercito?) affinchè le Camere approvino (si badi!: non discutano, ma approvino) una legge costituzionale sulla base dei risultati del referendum”.
Un ultimo, ma significativo, cachinno.
Nella fretta di raccogliere le firme per il deposito di tanto pensiero costituzionale gli estensori sono incappati in uno stupendo infortunio tipico del metodo copia e incolla.
Nell’ansia e nella speranza di ripercorrere i sicuri sentieri del referendum d’indirizzo sperimentato sciaguratamente e del tutto vanamente con l.cost. n.2/1989 (ma questo non è tale!) all’art. 4, rubricato “Propaganda elettorale”, si cade nell’infortunio di consentire l’accesso nella campagna elettorale agli enti e associazioni che abbiano interesse positivo o negativo verso la “formazione dell’unità europea e la promozione dell’Europa comunitaria”, così testualmente.
La gatta frettolosa – lo sappiamo- fa i gattini ciechi. Evidentemente un aiutante poco accorto ha fatto la frittata. Ma si auspicherebbe che i nostri riformatori costituzionali non cadessero in simili beffardi infortuni.
Molto altro ci sarebbe da dire, a cominciare dallo smontaggio di quello che viene sbandierato come il  precedente francese del 1945 (messo anche in bocca a Veltroni, nella recente intervista al Corriere).
Quello del 1945 non fu nella Francia postbellica un referendum d’indirizzo, bensì uno decisorio, sui poteri costituenti o no del Parlamento. Dunque, non è un precedente utilizzabile a sostegno della categoria – si ripete: vuota – dei referendum d’indirizzo.
Del resto, sia in Francia che in Italia, quelli erano altri tempi, ed altri erano gli uomini che li impersonavano. Allo stesso modo, en passant, un velo pietoso va steso sulla bislacca proposta di chiamare federale il Senato adesso reimpostato con la modifica dell’art.57 Cost.
E’tempo che sull’intera vicenda delle pseudo riforme male abborracciate e peggio assortite cali il sipario.
ENZO BALBONI