mercoledì 21 marzo 2012

La concertazione è finita?

In questi giorni di convulsi incontri tra Governo e parti sociali, dove tutti sono concentrati a misurare quanto potrebbe o dovrebbe essere cambiato dell’art. 18, si prospetta una ben più grande rivoluzione destinata a cambiare l’Italia che abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni.
Dice il Primo Ministro Mario Monti: “Non ci sarà un accordo firmato tra governo e parti sociali”. Al posto di un accordo un semplice verbale in cui registrare le diverse posizioni al fine di affinare, rifinire la riforma.
Se questa non è una rivoluzione…, certamente si tratta di un rivolgimento profondo nel modo di guidare il nostro paese.
Arrivare alla sottoscrizione di un accordo con le parti sociali è stato sin a oggi obiettivo di ogni Governo italiano, di destra o sinistra che fosse. Qualcuno ha accettato la stipula di un accordo senza la firma di qualche sigla sindacale, ma nessuno, prima di Monti, ha pensato che si potesse procedere senza un accordo sottoscritto.
La concertazione ha accompagnato almeno gli ultimi 4, 5 lustri della nostra storia repubblicana. Dai tempi di Bruno Trentin, e D’antoni è sembrato che la concertazione fosse non una metodologia delle relazioni sindacali, ma un vero progetto politico. Organizzazioni sindacali e partiti hanno intrecciato spesso le loro strade sovrapponendole. Molte carriere politiche e sindacali si sono interscambiate. Significativa è stata, da questo punto di vista, l’ultima coalizione di Centro Sinistra che elesse due ex sindacalisti, Fausto Bertinotti e Franco Marini, rispettivamente Presidente della Camera e Presidente del Senato. Quello fu il tempo nel quale nessuno si sarebbe neppure azzardato a mettere in discussione la concertazione.
Quanti ex sindacalisti sono passati dal Parlamento e quanti ex sindacalisti riempiono la dirigenza di Ministeri, Regioni, Enti Locali...? Per molto tempo amministrare ha significato condividere il governo con le parti sociali. Non solo il Governo non poteva prescindere da un accordo con le parti sociali, ma anche le Regioni e gli Enti Locali dovevano sottoporsi a quella singolare liturgia della stipula dell’accordo con le parti sociali.
La cosa singolare era che in quegli accordi non si trattava soltanto di materie strettamente contrattuali, ma si sottoponeva al vaglio delle OO.SS. tutto. Sindaci, Presidenti di Regioni hanno dovuto, sino a oggi, ottenere l’accordo con i sindacati spesso su materie d’indirizzo e non soltanto per quanto attiene la gestione del personale.
Monti, con l’aplomb che gli è proprio, ha squarciato anche questo velo: l’accordo con le parti sociali non solo non è necessario, ma non è neppure ricercato. La scelta di avere come unico interlocutore il Parlamento segna certamente un cambiamento epocale. Al momento non sappiamo dire se questa strada sarà mantenuta e se, soprattutto, avrà successo. Non sappiamo neppure se sarà un bene per l’Italia e gli italiani. Certo che chiudere gli estenuanti e spesso inconcludenti tavoli delle trattative con le parti sociali sembra essere un colpo destinato a cambiare profondamente il modo di governare.
l.r.

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