venerdì 4 maggio 2012


                      L'EBREO CHE RIDE - Moni Ovadia - Einaudi


Già il titolo è una piccola sfida. Infatti l'idea del divino attribuita agli ebrei non a caso è quella del "Dio vetero testamentario" che evoca l'immagine di un Dio terribile, geloso e vendicativo. Né vale il fatto che a causa del riso della vecchia Sara all'annuncio dell'imminente discendenza, il neonato sia chiamato Isacco che in ebraico significa "colui che rise". Una sfida dunque per la percezione collettiva, eppure Moni Ovadia, trascrivendo le proprie riflessioni nate per uno spettacolo teatrale riesce a farci percepire un'idea del divino assolutamente nuova.
E così dopo il breve glossario per familiarizzare con alcuni termini ebraici, l'autore ci aiuta a scoprire un insolito umorismo ebraico del divino. E si ride, si ride di gusto, anche se a volte è un sorriso lieve e persino amaro che racconta della storia di un popolo nell'eterna diaspora.
E così scopriamo il sarcasmo del rabbino che pungolato da un malizioso vescovo anglicano sul Dio degli ebrei, così minaccioso, tetragono e vendicativo contrapposto al suo, tutta bontà, perdono e indulgenza, risponde "sono d'accordo con lei Vescovo, il vostro Dio ha preso per sé tutte le migliori qualità e non ne ha lasciata alcuna ai suoi devoti".
Un libro piacevole dunque che ci accompagna sorridendo  in un mondo  sconosciuto e affascinante dove tutto è intriso di  religioso.  Del resto il Dio di Abramo e di Isacco è un Dio vicino anche a noi, che parla non solo attraverso la Torah scritta, composta dal Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), ma anche la Torah che è sulla bocca: il Talmud. Il libro sacro che contiene l'altra faccia della Torah, che doveva essere tramandata oralmente ma che i Maestri di Israele temendo che il lungo esilio babilonese corrompesse l'apparato di pensiero decisero di codificarla, riportando tutte le discussioni di centinaia di rabbini nel corso di due secoli. L'unico libro non libro sacro, che non solo accetti ma solleciti la propria messa in discussione. Un libro carico anche di umorismo che esilia l'arroganza delle certezze e smaschera la violenza del pregiudizio.
Lo studio del Talmud deve essere polemico e ha bisogno di confronto, di persone che si critichino per dinamizzare il pensiero, come quando "i maestri discutevano se un uccellino viene trovato entro cinquanta cubiti dalla proprietà di un uomo, l'uccellino appartiene al titolare della proprietà. Se viene trovato oltre l'uccellino appartiene a chi lo ha trovato. Rabbi Jirimiah pose una domanda: e se viene trovato con una zampina di qua e una di là dei cinquanta cubiti? Per questa domanda il rabbi fu buttato fuori dalla casa di studio".
Via via con lo scorrere delle pagine del libro di  Moni Ovadia, oltre a sorridere ci si trova sempre più immersi nella vita e nella percezione della storia del popolo ebraico e quei cernecchi (i lunghi riccioli alle tempie degli ortodossi), o quei cappelli strani neri orlati di pelliccia (shtraymel) ci appaiono espressione di una cultura tanto antica e desueta quanto ricca di suggestioni sdrammatizzate.
E così scopriamo i personaggi dello shtetl (cittadina ebraica dell'Est europeo) con il sensale di matrimoni e il sagrestano della sinagoga e il mendicante del ghetto che prega dicendo "Signore del mondo, hai creato un mondo pieno di gente povera, e saperlo lo so, che essere poveri non è una vergogna, ma neanche un grande onore…". O che si lamenta seccato con una signora che lo invita a ripassare il giorno dopo dicendo:" va bene, ma che non si ripeta più. Lei non sa quale danno abbiamo avuto a farle credito". Oppure si incontra quel rabbino che protesta con l'Eterno perché i poveri vitelli erano legati e non avevano le ali per librarsi nel cielo alla ricerca di cibo, e che colpito dalla cacca di un piccione non si lasciò sfuggire l'innegabile significato mistico della coincidenza e sentenziò, rimangiandosi le proteste:" l'Eterno, sia benedetto il suo nome, sa sempre quello che fa!"


                            pennino di falco



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