IMPERIUM
di Robert Harris Ed. Mondadori
Robert Harris ci consegna un ritratto di Cicerone ben diverso dal personaggio che noi conosciamo. Imperium è un grande romanzo che ci svela i retroscena di una realtà fatta di intrighi e di corruzione, singolarmente affine alla nostra. Un affresco ricchissimo e drammatico che mette a nudo i meccanismi della lotta per il potere e le componenti dell’ambizione politica, una rigorosa ricostruzione storica da leggere come un thriller appassionante.
Così dall’introduzione del libro, per spiegare un sottotitolo che ricorda come “gli stati sorgono e tramontano. Il potere non cambia mai”.
Magari può apparire un po’ cinica come affermazione ma certo non irrealista.
Del resto come dar torto a Crasso che, dopo aver crocifisso diciassette persone per miglio, cioè centodiciassette passi tra una croce e la successiva, osserva “dubito seriamente che dopo questa lezione, in futuro qualche schiavo oserà sollevarsi contro Roma”.
E certo non è molto diverso Pompeo quando entra trionfale nella capitale dell’impero, nonostante gli avvertimenti di uno schiavo pubblico alle sue spalle sul cocchio, preposto a sussurrargli all’orecchio che “tutto sarebbe un giorno finito perché lui era soltanto un essere umano”.
O lo stesso Cicerone che ricorda “sono più numerosi quelli che adorano il sole nascente di quelli che adorano il sole calante”, ricordando quello che alcuni oggi declinano sottolineando che lo sport più diffuso in politica è quello di correre in soccorso dei vincitori.
E l’affetto per il cugino non gli impedisce di ammonire che “il guaio di Lucio è che considera la politica come una lotta per il trionfo della giustizia. Non è così : la politica è una professione”.
Del resto il grande cittadino Romano, quando diviene un potente e osserva i modi di fare autoritari dei suoi littori, ha molto chiaro che “questa gente serve a capire che cosa accade a uno Stato con un corpo permanente di ufficiali : cominciano come nostri servi e a un certo punto si immaginano di essere i nostri padroni”.
E non si stupisce che il fedele Tirone, suo segretario e stenografo possa essere corrotto dai postulanti per sostenere le loro cause, anzi aggiunge “ è giusto che ti guadagni qualche soldo. Perché no? Ti chiedo solo di dirmi chi ha pagato…” E probabilmente non scherza quando specifica che l’attività di governo “serve solo a occupare il tempo fra un’elezione e l’altra”. Ed è forse questa, aggiunge Tirone, una delle cause che portarono alla fine della Repubblica, “morta per indigestione di voti” e forse per indigestione di costi per le feste elettorali.
E quando è lui a dover essere votato non manca di precisare che “si fa presto a riconoscere un idiota: è quello che sostiene di sapere chi vincerà le elezioni. Perché l’elezione è qualcosa che vive… si contorce, si allontana …imprevedibile”.
E sul finire si domanda “come ci giudicheranno i posteri Tirone? E’ questa l’unica domanda che un uomo politico deve porsi. Ma prima che i posteri possano giudicarci, dovranno ricordare chi siamo stati”.
Verità? Cinismo? Realismo? A voi l’ardua risposta. A noi il piacere di una lettura.
pennino di falco
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